Ghiandaia e Gazza

In autunno ogni quercia matura produce centinaia di ghiande che vengono pazientemente raccolte e conservate in luoghi “segreti” da alcuni animali. Tra questi vi è un uccello che prende il suo nome italiano proprio da questo suo comportamento: la Ghiandaia (Garrulus glandarius) che vive nei boschi prediligendo soprattutto i querceti. Anche il suo nome scientifico ricalca e riassume due delle sue caratteristiche, infatti in latino garrulus significa “chiacchierone, ciarliero” mentre glandarius “che si nutre di ghiande”. La sua alimentazione è molto varia, si nutre di piccoli mammiferi e uccelli, ma la sua dieta è costituita principalmente da invertebrati (insetti, ragni, ecc.), e da frutta e semi, in particolar modo di ghiande. Queste ultime costituiscono una parte fondamentale della loro dieta invernale. Vengono raccolte in autunno e trasportate da 3 a 9 alla volta nella capiente gola, più una che viene tenuta nel becco, fino ai nascondigli segreti (nelle cavità di alberi, tra le radici, sotto il muschio o le foglie) in modo da costituire una scorta di cibo che sia sufficiente a superare il rigido inverno. I nascondigli verranno ricordati in modo straordinario, e trovati anche se coperti dalla neve, pertanto la maggior parte delle ghiande raccolte verranno mangiate, dopo essere state aperte con potenti colpi di becco. Qualche nascondiglio però verrà dimenticato o saltato, così le ghiande potranno germogliare e diventare nuove giovani querce.

La Ghiandaia può raggiungere i 35 centimetri di lunghezza e un’apertura alare di 58 centimetri, arrivando a pesare poco meno di 200 grammi. Gli adulti hanno il piumaggio del corpo bruno-rosato, coda nera, ali nere con grossa macchia bianca e copritrici barrate di nero e blu. Gli occhi sono azzurro chiaro e sulla testa bruno-rosata è presente una “cresta”, striata di bianco e nero, che viene alzata solo quando l’esemplare è allarmato, eccitato o arrabbiato. Sia il maschio che la femmina possiedono una colorazione simile mentre i piccoli assumono toni meno vivaci. Le coppie durano tutta la vita. Durante il corteggiamento produce suoni dolci ma quando è allarmata emette il suo tipico kraak-kraak. Un verso di allarme che emette anche quando vede l’uomo, di cui (giustamente) non si fida poiché cacciandola l’ha trasformata in un uccello diffidente e schivo. Nell’ottocento ne furono uccisi a migliaia solo per la bellezza del loro piumaggio che era (purtroppo) richiestissimo per decorare cappelli e realizzare esche per la pesca ma anche per l’imbalsamazione. La bellezza del suo piumaggio, però, ispirò anche i poeti “macchie cerulee rubate all’arco immacolato del cielo” (da Passeggiate nel bosco in primavera di Thomas Gisborne) come anche la sua voce ed i suoi versi “il tuo grido ricordava subito la corteccia delle querce” (da Scritture vegetali di Pier Luigi Bacchini, 1927). William Wordworth (1770-1850) la chiamava “dissimulatrice” sottolineando la capacità di quest’uccello nel riuscire a camuffare la voce, riprodurre alcuni richiami come quello della Poiana e imitare il verso degli animali domestici come il miagolio di un gatto e il belare delle pecore.

Ugualmente ciarliera è la Gazza (Pica pica) che può raggiungere i 45 centimetri di lunghezza (compresa la coda che occupa circa la metà della lunghezza), i 60 centimetri di apertura alare e superare i 200 grammi di peso. Il piumaggio di questa specie è bianco su ventre, fianchi e scapole mentre il resto è nero (compresa la lunga coda) con riflessi blu-verdi-porpora. Il becco nero è robusto e potente come quello di tutti gli appartenenti alla famiglia dei Corvidi e che, oltre a comprendere i più grossi passeracei, è anche formata da specie molto evolute che hanno sviluppato in alcuni casi vere e proprie forme di aggregazione sociale.

A differenza della Ghiandaia la Gazza è piuttosto adattabile, infatti vive in ambienti in cui siano presenti alberi sufficientemente alti per costruirvi il nido, siepi e prati aperti sui quali cacciare, poco importa se si tratta di ambienti urbanizzati e fortemente antropizzati. Conosciuta per il suo ciak, anche questa specie può vantare  un ricco vocabolario di suoni ed imitazioni. Gli antichi romani le utilizzavano per far dare l’allarme all’avvicinarsi di un estraneo (proprio come le oche), ma era anche l’animale sacro al dio del vino Bacco e quindi veniva associata all’ubriachezza. In Germania, secondo un’antica tradizione, incontrare la Gazza è generalmente di buon auspicio. In Cina è l’uccello della gioia e del buon augurio “che non deve essere ucciso” mentre in Italia “gazza” è sinonimo di pettegola e ladra. Quest’ultimo appellativo gli è stato attribuito perché sembra sia attirata dagli oggetti luccicanti ma non lo meriterebbe affatto poiché, a differenza del ladro umano, non riesce a distinguere il valore economico effettivo che l’uomo attribuisce ai singoli oggetti. Nell’opera “La gazza ladra” di Gioacchino Rossini, la giovane Ninetta viene accusata di essere una ladra che viene dichiarata innocente solo quando viene scoperta la vera autrice del furto: “Innocentissima! Un cucchiaio, la forchetta e la croce, è tutto qua. Quella Gazza maledetta fu la ladra!”.

La dieta della Gazza è molto varia ed è simile a quella della Ghiandaia. Principalmente insettivora (ghiotta soprattutto di cavallette e locuste) durante la stagione riproduttiva passa a frutta e semi in autunno-inverno, anche se viene accusata di fare stragi di nidiacei e uova che però occupano in piccolissima parte la sua dieta. Per questo motivo, oltre al fatto di essere una specie molto comune e cacciabile, spesso in alcune Province italiane vengono fatti abbattimenti selettivi, che selettivi non lo sono affatto, e che coinvolgono spesso altre specie protette minacciate.

Personalmente adoro i chiacchiericci, i gorgheggi e i rumorosi versi di questi variopinti uccelli e li preferisco di gran lunga ai colpi di fucile che in questo periodo si odono nell’aria e non credo al   cacciatore come “controllore” delle popolazioni animali anche poiché l’uomo  di danni su questo pianeta ne ha fatti già troppi.

© Autore Angela Damiano — Pubblicato sul periodico  “La Fonte”

I Corvidi ciarlieri