Picchio rosso maggiore e Picchio verde

In assenza di alberi la vita sulla terra non sarebbe stata possibile, soprattutto per noi esseri umani che dimentichiamo così spesso quanto siamo vincolati ad essi per la nostra stessa sopravvivenza. Se tutti gli animali debbono ad essi il proprio “respiro” c’è anche chi vi trova rifugio, fonte di nutrimento, materia prima per costruire il proprio nido ma anche una casa sicura. L’albero è come un enorme condominio dove animali e piante convivono a tutti i livelli, dalle profondità delle radici fin sull’estremità della chioma. La convivenza è in perfetto equilibrio anche quando un abitante ne divora un altro, dato che si tratta sempre di specie diverse (come ad esempio è il caso dei bruchi di processionaria mangiati dalla Cinciarella).

Alcuni animali però possiedono con gli alberi legami talmente forti da divenire indissolubili. E’ il caso dei Picchi, una famiglia di uccelli che è presente in Italia con 9 specie e che sono ben conosciuti fin dall’antichità. Per Plinio (23-79 d.C.) storico e naturalista romano, solo il picchio era in grado di trovare la “lunaria”, una pianta magica in grado di aprire ogni serratura, ma vi poteva essere spinto solo attraverso l’inganno.

Secondo altre leggende il popolo dei Piceni deve il suo nome al picchio che lì guidò fin alla terra dove essi nacquero (nell’attuale regione Marche) mentre Romolo e Remo devono il loro nutrimento non solo alla lupa ma anche ad un picchio.

Diversi poemi furono ispirati alla colorata bellezza dei picchi e anche alle loro abitudini.

L’evoluzione ha donato a questi uccelli tanti piccoli adattamenti che li rendono degli abili arrampicatori e scalpellini. Possiedono zampe robuste, formate solitamente da due dita rivolte in avanti e due indietro per permettere un maggiore equilibrio, ed una coda corta e rigida che serve da propulsore per le arrampicate lungo il tronco degli alberi. Il becco robusto a forma di scalpello ed un cranio rinforzato (dotato di una sorta di morbido cuscinetto e di muscoli che lo allontanano ad ogni colpo dal becco) che gli permettono di martellare come un percussore ad un ritmo di 15 colpi al secondo senza riportare danni cerebrali. La loro lingua è notevolmente lunga, almeno 4 centimetri oltre il becco, per cui quando è ritirata si divide dietro la bocca prima di passare sopra e poi intorno alla parte posteriore della testa su entrambi i lati del cranio.

Il motivo di tanto adattamento è dovuto ad una specializzazione di questi uccelli che ben descrisse ne “Il Picchio” la poetessa inglese dell’ottocento Emily Dickinson: “Per becco una trivella, in testa berretto e collare. Si affanna su ogni albero, un verme il suo scopo finale.”

La specie descritta dalla poetessa è il Picchio rosso maggiore (Dendrocopos major) che sulla testa bianca possiede una chiazza nera quasi a forma di cappuccio (chiazzato anche di rosso nel maschio e quasi completamente rosso nei piccoli) ed una striscia nera che unisce cappuccio, becco e collo sembrando per l’appunto un collare. Il resto del piumaggio è bianco e nero ad esclusione del rosso sgargiante situato sotto la coda. Come gli altri picchi dipende dai tronchi morti per nutrirsi di insetti e larve che vivono nella corteccia, ma anche per nidificare scavando un nido di circa 30 centimetri all’interno del tronco. Durante l’inverno, questa specie, è però costretta a cambiare regime alimentare e quindi ad accontentarsi di  semi, nocciole, bacche e pinoli. Dal becco alla coda misura 22 centimetri e può vivere anche fino a 5 anni. Frequenta boschi ma anche zone aperte con alberi sparsi. Si può udire mentre tambureggia rapidamente sui rami morti per delimitare un territorio.

Di dimensioni maggiori (31 centimetri) è il Picchio verde (Picus viridis) facilissimo da identificare per il suo verso che somiglia ad una risata prolungata. Il nome viridis si riferisce alla colorazione verde del suo piumaggio che è più scura nelle parti superiori e più chiara nelle inferiori. La testa è verde chiaro con cappuccio rosso, mustacchi neri (centralmente rossi nel maschio) e lati del capo anch’essi neri. Il cibo preferito da questa specie sono le formiche, che cattura grazie ad una lingua appiccicosa di circa 10 centimetri con una punta mobile che gli permette di scovare le formiche anche negli angoli e anfratti più nascosti. Non è raro quindi vederlo a terra mentre apre il formicaio, riuscendolo a scovare anche sotto una spessa coltre di neve,  ed esplora i cunicoli con la lingua alla ricerca di uova, larve ed adulti. Durante l’inverno la sua dieta viene integrata con insetti nascosti nei tronchi morti e marcescenti poiché, essendo un abile formichiere, possiede un becco un po’ meno robusto di quello delle altre specie. 

Entrambe le specie si dedicano anche alla ricerca di nidi di api e vespe per nutrirsi delle larve. Fu proprio questa abitudine che causò, alcuni anni fa in Inghilterra, il danneggiamento di alcuni pali del telefono da parte dei picchi poiché le vibrazioni dei fili producevano un suono simile al ronzio delle api che li spingeva alla loro ricerca. Eliminando la vibrazione dei fili il problema del danneggiamento dei pali fu risolto definitivamente.

Il loro legame con gli alberi, tanto da essere soprannominati “chirurgo dell’albero”, perché in grado di liberarli da parassiti, rende le loro popolazioni vulnerabili agli incendi boschivi e ai tagli ceduo in quanto vengono privati dei siti di nidificazione e di nutrimento.

Tra le cause più comuni di ricovero dei Picchi, registrate presso il Centro Recupero Fauna Selvatica LIPU di Casacalenda (CB) (chiuso da aprile 2013 per mancanza fondi), ci sono quelle per l’appunto dovute all’impatto o allo schiacciamento con il suolo dovute al taglio degli alberi durante la stagione riproduttiva (primavera-estate).

© Autore Angela Damiano — Pubblicato sul periodico  “La Fonte”

Due specie a confronto